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Reati Societari, Fallimentari e Tributari

Per “reati societari” si suole intendere quegli illeciti posti in essere dai vertici (amministratori e direttori generali ad esempio e precipuamente) dell’impresa e consistenti, in estrema sintesi, in comportanti dannosi per la stessa società di appartenenza e finalizzati a conseguire vantaggi personali, in colposi o dolosi atti di disposizione del patrimonio aziendale con pregiudizio per i creditori, nella intenzionale alterazione del bilancio e dei documenti informativi obbligatori per legge al fine di ingannare i soci o il pubblico mediante l’esposizione di fatti non corrispondenti al vero, o ancora nella indebita utilizzazione di informazioni privilegiate, avute per ragione del proprio ufficio, per compiere o far compiere operazioni sui mercati finanziari.
Si tratta, rispettivamente, dei reati di cui agli artt. 2634 (“Infedeltà patrimoniale“), 2621 e 2622 (“False comunicazioni sociali“) c.c. ed art. 184 Testo Unico Finanza (“Abuso di informazioni privilegiate“, c.d. insider trading) ossia i reati tributari.
Quanto poi ai “reati fallimentari“, si tratta principalmente dei reati di bancarotta di cui agli artt. 216 e 217 legge fallimentare. Il primo dei due articoli prevede e punisce la “bancarotta fraudolenta“, ovverosia il comportamento dell’imprenditore che dolosamente abbia occultato, distrutto, dissimulato o distratto i suoi beni, o ancora abbia manipolato i documenti contabili al fine di procurarsi un ingiusto profitto o di arrecare pregiudizio ai creditori.
L’ipotesi di cui all’articolo successivo, invece, prevede il meno grave reato di “bancarotta semplice“, consistente in colposi atti di disposizione dei beni aziendali od in imprudenti operazioni economiche. Per la punibilità di entrambe le fattispecie, è richiesto il verificarsi della condizione obiettiva di punibilità della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore.
Il bene tutelato dai reati tributari consiste, essenzialmente, nell’erario dello Stato. In altre parole, ciò che si vuol salvaguardare con le fattispecie in oggetto è l’effettività della pretesa tributaria, l’effettivo versamento dei tributi dovuti dal cittadino allo Stato secondo le norme di legge. Con il Decreto Legislativo n.74/2000 si è proceduto ad una riforma netta del settore, mediante l’introduzione di rilevanti novità in tema di fattispecie punibili. Scopo precipuo della riforma è stato quello di semplificare il più possibile il sistema sanzionatorio, e ciò si è realizzato percorrendo due strade: da un lato, la depenalizzazione di molte delle ipotesi previste dalla disciplina pregressa (l. 516/1982), consistenti in massima parte in reati contravvenzionali di pericolo, spesso non accompagnati da una effettiva lesione del bene protetto; dall’altro, mediante l’abbandono del modello contravvenzionale a favore della categoria dei “delitti”, accompagnata dalla previsione, in molte fattispecie, delle necessità del dolo specifico in capo all’agente.
Per comprendere la portata delle innovazioni, basta leggere gli artt. 2, 3 e 4 i quali, nel richiedere l’effettiva indicazione nelle dichiarazioni dei redditi o dell’IVA di elementi non corrispondenti alla realtà, confermano la volontà del riformatore di ancorare la punibilità all’esistenza di un concreto danno erariale. Ad ulteriore riprova, il successivo art. 6, in deroga a quanto previsto in via generale dal codice penale, esclude, nei casi de qua, il rilievo del tentativo.
Tale corpus normativo è stato oggetto di tre importanti interventi legislativi: il primo con la Legge Finanziaria 2005 e il D.L. 223/2006 conv. in l. 248/2006 che hanno apportato talune modifiche introducendo nuovi reati che, pur potendo essere interpretati come un parziale ritorno al sistema della legge del 1982 vista la sufficienza del mero dolo generico per integrarli, si sono fatte carico di risolvere il problema di reprimere ulteriori condotte, essenzialmente omissive e precipuamente in materia di IVA, formalmente rispettose degli obblighi imposti dalla legge, ma sostanzialmente vanificatrici della pretesa tributaria statuale.
Il secondo, con la legge 14 settembre 2011, n. 148 che ha, tra le altre cose, abbassato le soglie di imposta evasa per i delitti di cui agli articoli 3, 4 e 5 del Decreto Legislativo n.74/2000, ha elevato di un terzo il termine di prescrizione per i reati tributari e ha limitato l’accesso al patteggiamento alle sole ipotesi in cui ricorra l’attenuante del pagamento del debito tributario di cui all’art. 13 del Decreto.
Da ultimo, il Decreto Legislativo 124 settembre 2015, n. 158 che ha comportato un aggravamento del sistema sanzionatorio, ma ha elevato le soglie di punibilità: ad esempio, oggi l’omesso versamento delle ritenute certificate di cui all’art. 10 bis si realizza quando sono presenti tutti gli elementi tipizzati dalla fattispecie incriminatrice e viene superata la soglia di € 150.000 per ogni periodo di imposta, prima fissata ad € 30.000.

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